“Il segreto e la riservatezza, anche nei loro aspetti positivi non sono valori coltivati nella cultura di oggi. Bisogna essere in grado di non aver nulla da nascondere”. A questo punto del suo intervento, davanti alla platea degli ottomila convenuti in aula “Paolo VI” per la conclusione dl convegno su “Testimoni digitali”, padre Federico Lombardi, portavoce del papa, è stato interrotto da un grande applauso.
Tutti abbiamo capito ciò che voleva dire, il contesto in cui lo ha detto, la forza di queste parole. “L’esperienza che stiamo vivendo, i prezzi che stiamo pagando – ha aggiunto – dicono che la nostra testimonianza deve andare decisamente nella linea del rigore, della coerenza fra ciò che diciamo e ciò che siamo, del rifiuto di ogni ipocrisia e doppiezza”.
Parole sante, verrebbe da dire. Parole sagge. Parole utili in un contesto – quello mediatico, anzi crossmediatico – nel quale qualunque cosa accada (di bello o di brutto) nel borgo più sperduto o nell’edificio più chiuso, è subito possibile rilanciarlo in ogni parte del mondo.
Se un tempo era possibile occultare certe vicende (ammesso e non concesso che occultare la verità sia, evangelicamente, la strada migliore), oggi ciò non è più dato: davvero può essere un bel “segno dei tempi” la condizione di non avere nulla da nascondere.
Prima – nella Chiesa e a qualunque suo livello – se ne prende atto (e Benedetto XVI sta dando forte dimostrazione di volerlo fare) e meglio è.
A qualunque livello.