Polemiche anche a Pistoia sui “costi” della politica e sulle indennità (ma anche sugli altri benefici) dei politici, compresi quelli titolari di cariche locali.
Nessuno riuscirà mai a trascinarmi nella facile demagogia di demolire politica e politici. Se retta da nobili intenzioni, la politica è una fra le attività più belle e utili che possano esistere. Se motivati da finalità di pubblico servizio con particolare attenzione non per i potenti (che sanno difendersi da soli) ma per i più fragili, i politici svolgono un ruolo prezioso.
Questo in premessa e su tutto. Compreso il fatto che tutti, ma proprio tutti, devono – se ne hanno voglia e motivazione – poter fare politica in un certo periodo della loro vita. Le cariche pubbliche non sono solo per i ricchi. Salvo casi eccezionali (i politici davvero “di razza”), ricoprire un incarico pubblico dovrebbe significare dedicarvi un periodo particolare della propria vita per, subito dopo, tornare alla propria professione. Al proprio lavoro. Al proprio mestiere. Alla propria attività. Magari continuando, in altri modi, a fare politica (perchè sempre, e tutti quanti, facciamo politica).
Quello che mi ha fatto riflettere è che uno di loro (non importa chi. Credo che su questo la pensino tutti, ormai, nello stesso modo) stamattina, sulle cronache locali, sostiene che la sua indennità (circa 6.300 euro lordi ogni mese) è adeguata all’impegno e alle responsabilità davanti al ruolo svolto.
Usa, la giovane politica, una categoria (“stipendio“) che a me fa riflettere: se è davvero uno “stipendio”, 6 mila euro lordi al mese potrebbero perfino essere pochi in un contesto in cui la responsabilità deve essere retribuita e bene.
Ma è uno “stipendio“?
Anch’io, come molti, ho fatto politica e ricoperto ruoli pubblici. Allora (almeno in molti partiti) si faceva tutto per volontariato e, almeno al nostro livello, con la consapevolezza che si trattava di un periodo staccato nella nostra vita. Una scelta volontaria di vita. Tempo sottratto alla famiglia, al tempo libero, ad altri tipi di guadagni, alla professione.
Mi viene una domanda. Può, l’esercizio di un incarico pubblico, rappresentare un “mestiere” ed essere dunque retribuito da uno “stipendio“? Gli eletti dal popolo non dovrebbero forse limitarsi a fare scelte, a dare indicazioni (appunto “politiche“) che spetta poi alla dirigenza (oggi molto bene pagata proprio per assumersi questa responsabilità) far tradurre – guidando la struttura – in atti amministrativi? Può la responsabilità del politico essere pagata con i soldi, allo stesso modo della responsabilità del manager pubblico? La responsabilità del politico non ha, di suo, altri sistemi di misurazione partendo proprio dal giudizio dei cittadini alla successiva tornata elettorale?
La mia è una semplice domanda. Non ho ricette. Nè moralismi. Nè furori demagogici. Rispetto quella politica per cui, in base alla nostra Costituzione, chi svolge incarichi pubblici è chiamato a farlo “con onore“. So che moltissimi, anche fra i politici di oggi, sono persone serie e che si vergognano, loro per primi, davanti a certi affaristi privi di scrupoli che, con la scusa della politica, rubano ai poveri.
Ma proprio non mi va che la politica – partendo addirittura dai cosiddetti rami bassi, dai livelli circoscrizionali – sia svilita a un “mestiere” dovendo dunque essere retribuita con uno “stipendio” fondato sugli euro.
O no?
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