Telefonini: cancro in onda?

Confesso. Sono un fan di Milena Gabanelli e del suo – civile, indispensabile – giornalismo d’inchiesta. “Report” ieri sera ha spiegato come le potentissime e ricchissime multinazionali della telefonia facciano lobby per “orientare” a loro favore le ricerche scientifiche sui possibili danni alla salute provocati dai telefonini cellulari: oggetti che uniscono miliardi di uomini e donne in tutto il mondo con una penetrazione elevatissima in Italia. Dopo mesi di silenzio, ieri sera “Report” ha raccontato come, nel maggio scorso, siano usciti preoccupanti risultati OMS (Organizzazione Mondiale Sanità: ONU) sui rischi cancerogeni di queste onde.

Da maggio, nonostante che la notizia sia una sorta di “bomba”, i nostri media – pubblici e privati – hanno in pratica taciuto. La notizia è stata data, ma il minimo indispensabile. Fino alla puntata di “Report” di ieri sera (ancora visibile sul sito www.report.rai.it ).

In tutto questo silenzio non credo siano estranei i colossali interessi in gioco, comprese le “pressioni” che intuibilmente le grandi aziende di telefonia mobile – enormi fornitrici di pubblicità – effettuano nei confronti degli stessi media. Pubblici e privati. Grandi e piccoli. Di carta stampata e radiotelevisivi.

Qualcosa – grazie al giornalismo d’inchiesta in un servizio pubblico: la Rai – ha iniziato a muoversi, ieri sera.

E oggi sono arrivate le prime reazioni istituzionali. Il Consiglio Superiore della Sanità (Ansa ore 18:11) lancia un suo parere secondo cui nell’utilizzo dei telefoni cellulari (“soprattutto per i bambini”) va applicato il principio di precauzione (“che significa anche educazione a un utilizzo non indiscriminato, ma appropriato, quindi limitato alle situazioni di vera necessità, del cellulare“.

Avete letto bene, parola per parola?

Soprattutto se usate, come tutti noi siamo soliti fare, il cellulare proprio in modo indiscriminato, tenendolo sempre all’orecchio, capirete bene cosa vogliono dire – di parecchio preoccupante – le parole usate dalla massima autorità sanitaria del nostro Paese. Che, subito dopo (Ansa 18:24), precisa che non si può escludere l’esistenza di casualità tra esposizione da cellulari e insorgenza del cancroquando si fa un uso molto intenso del telefono cellulare“.

Riguardate “Report” di ieri sera e troverete risposte assai allarmanti – molto più allarmate del cauto dire usato dal nostro Consiglio Superiore della Sanità – circa i limiti temporali quotidiani, nell’uso dei telefonini, per non avere problemi di salute.

Quanti di noi, ogni giorno e da anni, usano il cellulare almeno due o più ore al giorno? Li vediamo o no, i nostri ragazzini che con i cellulari, in telefonate lunghissime, ci vivono in simbiosi?  E perchè nessuno, fino ad ora, ci ha mai detto quanto adesso, cautamente, il CSS inizia a dire sul fatto che “oggi le conoscenze scientifiche non consentono di escludere l’esistenza di causalità quando si fa un uso molto intenso del telefono cellulare”?

Agi e Asca, le altre due principali agenzie d’informazione italiane, sono uscite oggi con la stessa notizia. Ma mentre Ansa, nel titolo, scrive “Non escluso nesso cellulari cancro se uso smodato”, le altre due agenzie tentano un’informazione più … rassicurante (“No prove rischio uso cellulari, ma cautela con bimbi”). Sarebbe interessante conoscere chi, esattamente, c’è fra gli editori delle due agenzie e perchè il taglio del titolo sia così … abilmente diverso.

Non stupisce neppure che il mitico Umberto Veronesi (Agi ore 18:53) sostenga di non credere che i telefonini fanno male. Per trovare  una spiegazione, bastano forse gli intrecci, raccontati ieri da “Report”, fra le ricerche del prof. Veronesi e i finanziamenti delle aziende di telefonia mobile proprio a Veronesi, ?

In ogni caso, a tagliare la testa al toro, esce  un’altra agenzia (Ansa, 18:44) secondo cui il Ministero della Sanità “avvierà una campagna di informazione sulla base delle ultime relazioni degli organismi tecnico-scientifici per sensibilizzare proprio a tale uso appropriato” del cellulare. E quali sono le “ultime relazioni”? Toh, guarda caso: proprio quelle (OMS) portate ieri sera da Milena Gabanelli e tenute nascoste, colpevolmente, da maggio scorso.

In conclusione? Decisamente spaventato (anche perchè mi è da poco morto un caro amico, frenetico utilizzatore di telefonini, causa cancro al cervello !) ho iniziato a usare l’auricolare, riducendo le telefonate al mobile, aumentando quelle al fisso, sostituendo le telefonate con sms.

Ma penso, con spavento, sia alle onde che mi sono beccato da una quindicina d’anni e sia alle tante famiglie che, per non sentirsi “arretrate”, regalano – e lo faranno anche per il prossimo Natale – telefonini a bambini di età sempre minore: iniziando addirittura dalle prime classi delle elementari …

E penso alle – accattivanti, costosissime, convincentissime – campagne di comunicazione delle grandi aziende di telefonia mobile …

Published in: on 28 novembre 2011 at 18:31  Comments (1)  
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Sull’ultimo Pupi Avati

Ieri sera siamo riusciti a vedere l’ultimo film di quello che per me è davvero uno dei registi più grandi oggi in circolazione (Pupi Avati): film che è subito sparito dalle grandi sale di città, a testimonianza di quanto discutibile sia – in ogni settore, compresa la distribuzione cinematografica – affidarsi alle sole logiche mercantili. L’ho trovato in una delle ormai pochissime (onore ai loro enormi sforzi per reggere !!!) sale di paese. Si chiama “Il cuore grande delle ragazze” ed è il solito, incantevole, racconto che da anni va facendo Avati sui suoi ricordi, sulla vita di un tempo, sui sentimenti, sui valori, sul passato e dunque inevitabilmente anche sul presente.

Fra i mille spunti ce n’è uno, doppio, stupendo: riguarda gli ultimi momenti della vita di un essere umano. Quando ognuno moriva nel suo letto, in casa sua, accanto a parenti e amici di una esistenza intera. C’era un sistema per “ritardare” la partenza e subito dopo un sistema per “accelerare” il viaggio estremo.

Quando si capiva che per il moribondo (almeno quelli di sesso maschile) non c’era più nulla da fare, gli si metteva accanto una signora o una signorina disponibili per un piccolo pubblico sacrificio: farsi accarezzare, dalla mano del moribondo opportunamente indirizzata  dai parenti in lacrime, una ben individuata parte del corpo in modo da … “riportare in vita” il moribondo.

Non doveva funzionare molto. E dunque, appena esalato l’ultimo respiro, si passava ad aprire immediatamente la finestra della camera affinché l’anima – separata dal corpo -non trovasse neppure il fragile ostacolo del vetro per salire in alto. Lassù.

Non è bello?

Published in: on 27 novembre 2011 at 09:22  Lascia un commento  
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E noi suoneremo le nostre, di campane.

Deve essere tosto davvero quel parroco del trevigiano, don Giovanni Kirschner, che l’altro giorno ho trovato scritto in un’Ansa. Suona le campane a festa tutti i giorni la settimana, esattamente alle 17 e 30 (orario di chiusura dei mercati borsistici). Le suona, le campane, tutti i giorni tranne il sabato e la domenica quando, cioè, le Borse sono chiuse. Il suo – spiega – è un gesto di protesta “contro lo strapotere della finanza internazionale” e lo ha annunciato nel bollettino parrocchiale sollevando le perplessità di chi (molto bene-pensante)vorrebbe che in Chiesa si parlasse “di Vangelo e di preghiera, non di banche, finanze e governo”.

“Ci uniamo alle richieste di quanti, in tutto il mondo, chiedono di porre regole per controllare il sistema che in nome della libertà di mercato lascia in mano a pochi ricchi la possibilità di decidere sull’economia e quindi sulla vita della gente”. Dice il don.

A me, che di banche e finanze e tantomeno di Borse capisco esattamente un tubo, questo prete dal nome straniero mi sta, a pelle simpatico. La sua storia mi è tornata in mente oggi, dopo aver letto il monito del cardinal Tarcisio Bertone, Segretario di Stato Vaticano, sulla “insostenibilità di un mercato totalmente autoreferenziale”, sulla necessità di “sollevare nuove questioni circa la responsabilità e l’etica dei processi finanziari”. E sul fatto che la Chiesa intende offrire “alla società intera nuove vie di incontro”.

Che abbia ragione don Giovanni parroco di Sant’Andrea Apostolo a Santandrà, nel Trevigiano?

Published in: on 23 novembre 2011 at 22:45  Comments (1)  
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A proposito di telefonini

Un mio caro amico è andato via. Nel senso che è morto. 

Nel luglio 2010 gli scoprirono (lui, accanito consumatore di telefonini cellulari. Ci sarà un rapporto?) un tumore al cervello. Di quelli che non perdonano. Alla moglie dissero che avrebbe avuto 6 mesi di vita. Ne ha avuti 10 in più.

Sono andato a trovarlo alcune volte, nella piccola frazione della sua città toscana. L’ultima, nel letto di ospedale a poche ore dal distacco: sedato, assente, il corpo sfigurato. Gli ho parlato, ricordando i lunghi anni passati accanto per lavorare. Ho scherzato con lui sulle novità politiche. Lui non mi capiva, non poteva capirmi. Ma chissà …

Prima del male stavano per separarsi, con la moglie. Con gli anni, e senza figli, il rapporto si era sfilacciato. Poi lui ci disse che lei stava combattendo contro un tumore alla gola. Dopo pochi mesi un altro tumore, solo per lui. Il rapporto, fra i due, è tornato a parlare il linguaggio dell’amore fino allo strazio finale (l’altro giorno, in quel lettino di ospedale, ho visto un abbraccio fra due corpi che me lo sono paragonato a uno fra i più bei “compianti” che la storia dell’arte cristiana ci ha consegnato).

Nessuno dei due poteva dirsi “praticante”. Se ne parlava, qualche volta, con il mio amico e lui diceva di “invidiare” la mia fede. Qualche mese fa lui volle un prete, uno di quelli abituati a ragionare con chi è sempre stato ai confini. Chissà che si saranno detti.

Nella piccola chiesa di paese, affollata di persone turbate, una bella voce del coro parrocchiale ha accompagnato la Messa con i canti estremi: inevitabile, verso la fine, lo squillo di un telefonino lasciato acceso in fondo a una borsa. Ma “io credo, risorgerò, questo mio corpo vedrà il Salvatore” saliva molto più in alto: con la sua speranza di vita era assai più potente di quello stupido aggeggio tecnologico; e delle onde, forse mortali, di cui non si può neppure parlare perchè confliggono con le ragioni del profitto.

Published in: on 19 novembre 2011 at 09:32  Lascia un commento  
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India: cavie umane per i nostri farmaci

Sono  oltre 150 mila le persone che, in India, partecipano ad almeno 1.600 test clinici per conto di colossi farmaceutici occidentali: tra il 2007 e il 2010 sono morte almeno 1.730 persone durante o dopo aver preso parte a uno di questi esperimenti. Lo ha rivelato qualche giorno fa l’Ansa con un lancio scarsamente ripreso dai nostri media. “Espertimenti condotti senza informare i partecipanti – scrive Ansa – dei rischi che le sostanze in assunzione presentano; vittime quasi mai ricompensate, povere e spesso analfabete alle quali il loro medico aveva mostrato, senza leggerglielo, un modulo scritto in inglese. Benvenuti in India, nuova frontiera delle cave umane usate dalle grandi ditte farmaceutiche occidentali per testare medicinali, in un’industria della ricerca che solo nel Paese asiatico vale 189 milioni di sterline”.

Una sola domanda. A noi, tutto ciò, va bene?

Published in: on 17 novembre 2011 at 21:56  Lascia un commento  
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Se non possiamo tacere, cosa dobbiamo dire?

I fedeli laici sanno che è loro dovere lavorare per il giusto ordine sociale, anzi è un debito di servizio che hanno preso verso il mondo in forza della antropologia illuminata dalla fede e dalla ragione. E’ questo il motivo per cui non possono tacere“.  Sono parole, centrali, dell’intervento tenuto dal cardinal Angelo Bagnasco, circa un mese fa, in quel di Todi.

Alla luce della situazione attuale – con il precipitarsi dei fatti che stanno portando alla fine del governo Berlusconi (ma il “berlusconismo”, compreso quello trasversale, quanto tempo ci vorrà perchè abbia fine? avrà mai fine?) e, forse, alla nascita di un governo guidato da un “tecnico” – in cosa può concretizzarsi il “lavoro” dei fedeli laici? Cosa non possono tacere in queste ore, i laici credenti, in un contesto per molti aspetti così drammatico?

Published in: on 12 novembre 2011 at 08:54  Comments (3)  
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Se Tito non vale una Messa

Nel villaggio natale di Tito (per la cronaca: Kumrovec, nel nord della Croazia) l’edificio che ospitava la scuola del partito comunista sta per essere offerto, dal governo, alla Chiesa cattolica come parte dell’indennizzo per i beni confiscati dopo il 1945. Lo ha riferito, ieri, l’Ansa su fonte di un quotidiano di Zagabria.

L’edificio in questione, a pochi passi dalla casa natale di Josip Broz Tito, ha ospitato per molto tempo la scuola politica per giovani comunisti.

Pare che la decisione del governo di Zagabria sia stata accolta con perplessità dalla popolazione locale: non tanto per ostilità nei confronti della Chiesa cattolica quanto per il timore che la nuova destinazione dell’edificio ostacoli “il valore turistico del luogo”. Sono infatti oltre 55 mila ogni anno, in prevalenza stranieri e dunque con valuta forte, i turisti che visitano il villaggio natale di Tito.

Il compagno Tito, insomma, sarà stato anche un dittatore crudele ma porta qualche soldino. E il profumo degli euro non vale certo una Messa …

Published in: on 10 novembre 2011 at 09:16  Lascia un commento  
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AAA maestro Manzi cercasi per un’Italia “ignorante”

Capire un titolo di giornale, riempire un questionario, leggere un avviso pubblico. Secondo un commento di Mario Pirani – http://rassegnastampa.unipi.it/rassegna/archivio/2011/11/07SI51023.PDF – ieri su “Repubblica”, sarebbero addirittura 39 milioni gli italiani (il 68,2% dell’intera popolazione) non in grado di possedere una pur minima “condizione educativa” che sia in grado, appunto, di rispondere positivamente a quelle tre situazioni.

Nella specifica classifica Ocse, su una trentina di Paesi industrializzati presi in esame, l’Italia occupa il penultimo posto seguita solo dal Portogallo. Personalmente guardo sempre con molto sospetto questo tipo di classifiche, ma la cifra (39 milioni di “ignoranti”: analfabeti totali, privi di qualunque titolo di studio, analfabeti di ritorno …) fa in effetti paura.

Cambierebbe poco se il numero degli “ignoranti”, cioè privi dei saperi minimi per orientarsi nella complessità del mondo d’oggi, non toccasse quota 39 milioni ma si fermasse – che so – a quota 30 o a quota 25 milioni.

Sarebbero pur sempre numeri colossali e in effetti basta aver letto il prezioso lavoro di uno studioso credibile come Tullio De Mauro (“La cultura degli italiani”) per provare non solo sconforto ma anche paura davanti a un paese sempre più vecchio e “ignorante”, sempre più povero come portafoglio ma pure come capacità culturali di affrontare la crisi.

Possiamo – come Chiesa non a caso impegnata nel decennio della sfida “educativa – prescindere da questo contesto? Noi che in Pistoia siamo impegnati nello splendido cammino chiamato “ascolto della Parola di Dio” – un cammino che comunque presume una pur minima capacità di lettura e di analisi di un testo – possiamo progettare bene le nostre azioni pastorali prescindendo dalla circostanza, drammatica,  che 7 (o anche 5 nella migliore delle ipotesi, o anche 4) fra gli abitanti del nostro territorio non riescono a leggere, e a capire, un testo di una minima complessità essendo oltretutto, ormai da tempo, colonizzati e manipolati dalla facilità estrema (e dalla banalità) del linguaggio delle immagini? Ritengo sarebbe utile confrontarsi anche su questo.

Più in generale trovo che un governo nuovo, che forse sta per nascere, dovrebbe porsi non solo la sfida sui “fondamentali” economici ma anche quella sui “fondamentali” culturali: occorrerebbe una grande azione educativa, anche attraverso i media (ad esempio utilizzando le potenzialità del digitale televisivo terrestre e dei tantissimi canali adesso disponibili).

Un po’ come accadde negli anni Sessanta con “Non è mai troppo tardi” del mitico maestro Manzi …

 

Published in: on 8 novembre 2011 at 17:11  Lascia un commento  
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Le lacrime (ipocrite) dopo i morti (annunciati)

L’ambiente è uno di quei beni che i meccanismi di mercato non sono in grado di difendere o di promuovere adeguatamente“. Quando, fra i cattolici italiani, si torna a parlare di dottrina sociale (necessità di riscoprirla e reinterpretarla), può essere utile un volume voluto fa dal Pontificio Consiglio Giustizia e Pace (“Compendio della dottrina sociale della Chiesa“).
 
Sono molti i richiami all’ambiente e alla questione ecologica. E si trova anche (al capitolo 470) quel tipo di sottolineatura che, nei tragici ma abbondantemente prevedibili giorni delle solite alluvioni d’autunno, può essere utile leggere e soprattutto meditare.
 
Fin troppo facile, quando i morti sono ancora “caldi”, strapparsi le vesti sull’eccessiva cementificazione del territorio, sull’abbandono dei territori montani, sulla mananza di investimenti nella prevenzione, sui cambiamenti climatici. Passata la tragedia, tutti ce ne dimentichiamo. E non sempre è colpa di speculatori affamati o di amministratori disonesti: talvolta è anche la nostra ignavia di cittadini qualunque ad avere le sue colpe. La ricerca del profitto immediato è sport assai praticato.
 
Ho sempre in mente quanto accaduto nel territorio della nostra diocesi: la grande alluvione di Poggio a Caiano nel 1992. Il mancato controllo degli argini di un fiume (dove non esiste da decenni più acqua pulita) mise sott’acqua una parte di paese, costruita tranquillamente in zona a rischio idraulico. Per rimediare ci vollero montagne di soldi pubblici: per prevenire ne sarebbero bastati molti ma molti, ma molti, di meno. Passata la grande paura, pochi mesi dopo i potenti (trasversalissimi …) partiti del cemento ricominciarono a costruire in zona a forte rischio come se nulla fosse accaduto.
 
Identica “cultura – oltretutto nel Paese dei condoni e, dunque, della irresponsabilità – ovunque e senza significative distinzioni politiche. Leggo, dalle cronache ai confini fra Liguria e Toscana, di “casse d’espansione” previste e non realizzate perchè ai proprietari dei terreni non andava giù rinunciare alla rendita fondiaria.
Interi fondovalle rovinati da orrende chilometrate di brutti capannoni, consumo folle di territorio “pregiato”, colpevole abbandono di territorio considerato “non produttivo”, incapacità di capire che l’economia potrebbe sostenersi anche grazie alla cultura del recupero di ciò che già esiste.
 
Ecco perchè può essere utile – e impegnativo – anche per una nuova stagione di presenza politica, tenere conto che non tutto può essere affidato al “sire” mercato. Chi fa politica in base alla voglia di servire l’interesse generale, non può – non deve – essere troppo obbediente a certe regole condivise. Deve, al contrario, disubbidire …
Published in: on 5 novembre 2011 at 18:43  Lascia un commento  
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Le prediche della domenica

Nel prossimo Avvento, ogni giovedì mattina, i parroci pistoiesi si ritroveranno con il vescovo Mansueto per confrontarsi su un tema (l’omelia domenicale) che spesso ci interroga anche a proposito del suo significato e della sua efficacia. E’ uno fra i contenuti del Programma Pastorale 2011-2014: ci troveremo – scrive mons. Bianchi – “per aiutarci a meglio preparare l’omelia della domenica, nel clima dell’amicizia e della fraternità presbiteriale”.

Omelia. Sono 10 minuti, più o meno, che dovrebbero servire per commentare, e attualizzare, la Parola appena ascoltata: a prescindere da qualunque altra considerazione, oggi cadono in un contesto dove è arduo tener desta l’attenzione per più di 5/8 minuti in chi ascolta, già abbondantemente “seminato” da messaggi (spot pubblicitari, linguaggio radiofonico/televisivo …) a elevatissima presa comunicativa e che sempre più banalizzano, semplificano, riducono.

Problema antico, quello delle prediche, se è vero (lo ricorda un arguto e colto frate francescano, padre Giovanni Roncari, sull’ultimo numero di Toscana Oggi, proprio rispondendo a una lettrice circa il senso delle omelie) che lo stesso San Paolo ebbe ascoltatori … addormentati in posizioni addirittura pericolose (Atti, 20,7 ss).

Capire cosa è una omelia, a cosa possono servire questi “dieci minuti“, interrogarsi sulle aspettative di fedeli e di parroci nonchè sugli stili comunicativi, conoscere un po’ di tecniche (compreso il banalissimo … uso del microfono), riflettere sul tipo di persone che si hanno davanti … tutto questo ha una grande importanza. Per cui è bello che in diocesi si sia pensato a questi appuntamenti di formazione.

In molti, sono certo, abbiamo qualcosa da dire sul tema. Cosa è e cosa non è una omelia? A che serve? Che difficoltà si incontrano dalla parte di chi … predica e che riscontri abbiamo dalla parte di chi riceve? Come fare, cosa fare, quando farlo per migliorare questo specifico momento nella celebrazione eucaristica?

Published in: on 3 novembre 2011 at 12:04  Lascia un commento  
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