Le lacrime (ipocrite) dopo i morti (annunciati)

L’ambiente è uno di quei beni che i meccanismi di mercato non sono in grado di difendere o di promuovere adeguatamente“. Quando, fra i cattolici italiani, si torna a parlare di dottrina sociale (necessità di riscoprirla e reinterpretarla), può essere utile un volume voluto fa dal Pontificio Consiglio Giustizia e Pace (“Compendio della dottrina sociale della Chiesa“).
 
Sono molti i richiami all’ambiente e alla questione ecologica. E si trova anche (al capitolo 470) quel tipo di sottolineatura che, nei tragici ma abbondantemente prevedibili giorni delle solite alluvioni d’autunno, può essere utile leggere e soprattutto meditare.
 
Fin troppo facile, quando i morti sono ancora “caldi”, strapparsi le vesti sull’eccessiva cementificazione del territorio, sull’abbandono dei territori montani, sulla mananza di investimenti nella prevenzione, sui cambiamenti climatici. Passata la tragedia, tutti ce ne dimentichiamo. E non sempre è colpa di speculatori affamati o di amministratori disonesti: talvolta è anche la nostra ignavia di cittadini qualunque ad avere le sue colpe. La ricerca del profitto immediato è sport assai praticato.
 
Ho sempre in mente quanto accaduto nel territorio della nostra diocesi: la grande alluvione di Poggio a Caiano nel 1992. Il mancato controllo degli argini di un fiume (dove non esiste da decenni più acqua pulita) mise sott’acqua una parte di paese, costruita tranquillamente in zona a rischio idraulico. Per rimediare ci vollero montagne di soldi pubblici: per prevenire ne sarebbero bastati molti ma molti, ma molti, di meno. Passata la grande paura, pochi mesi dopo i potenti (trasversalissimi …) partiti del cemento ricominciarono a costruire in zona a forte rischio come se nulla fosse accaduto.
 
Identica “cultura – oltretutto nel Paese dei condoni e, dunque, della irresponsabilità – ovunque e senza significative distinzioni politiche. Leggo, dalle cronache ai confini fra Liguria e Toscana, di “casse d’espansione” previste e non realizzate perchè ai proprietari dei terreni non andava giù rinunciare alla rendita fondiaria.
Interi fondovalle rovinati da orrende chilometrate di brutti capannoni, consumo folle di territorio “pregiato”, colpevole abbandono di territorio considerato “non produttivo”, incapacità di capire che l’economia potrebbe sostenersi anche grazie alla cultura del recupero di ciò che già esiste.
 
Ecco perchè può essere utile – e impegnativo – anche per una nuova stagione di presenza politica, tenere conto che non tutto può essere affidato al “sire” mercato. Chi fa politica in base alla voglia di servire l’interesse generale, non può – non deve – essere troppo obbediente a certe regole condivise. Deve, al contrario, disubbidire …
Published in: on 5 novembre 2011 at 18:43  Lascia un commento  
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