“Sappiamo anche che è difficile essere coerenti, ma lo vorremmo essere perchè la coerenza di oggi, sarà possibilità di vita per tutti”. Da quella che i firmatari (7 persone: una teologa, un religioso e cinque parroci) hanno chiamato “Lettera aperta alla Chiesa italiana” diffondendola nei giorni scorsi, prendo questo passaggio dedicato alla coerenza: una coerenza che il documento chiede a tutta la Chiesa, particolarmente ai vertici della Chiesa, e dunque pure agli stessi firmatari ed a tutti coloro che si ritrovano sulle posizioni molto nette del testo (pubblicato, in sintesi con un link all’integrale, su altra pagina del sito diocesano).
Quanto scritto (“una sintesi delle tante inquietudini e dei tanti desideri e aspettative” raccolte in un incontro con teologi e teologhe svolto a Firenze presso la comunità delle Piagge lo scorso 20 gennaio) sarà visto come “miele” da qualcuno e come “fumo negli occhi” da altri. Qualcuno si ritroverà, lancia in resta, contro il duro e impietoso attacco alla “Chiesa ufficiale” il cui esempio, secondo i firmatari, è quello (oltretutto “la maggior parte delle volte”) di “pretendere riconoscimenti e difendere propri interessi, imischiandosi in politica solo per salvaguardare i proppri privilegi”. Altri – facile immaginarlo – si rifiuteranno perfino di leggere rifugiandosi in certezze di segno magari opposto.
Un po’ ovunque, nella nostra comunità di credenti in Cristo Gesù chiamata Chiesa, il clima finisce per essere questo: “fratelli” e “sorelle” di una stessa fede, che pure in teoria prendono parte allo stesso sacrificio eucaristico, impegnati a non ascoltarsi su posizioni all’apparenza sempre più divaricate e divaricanti. Ognuno convinto delle sue sicurezze. Ciascuno a chiedere “coerenza” evangelica in base al retro-pensiero di stare dalla parte della ragione perché nel torto ci sono solo “gli altri”. Questo sulle questioni “grandi”, universali, e pure su quelle “piccole”, parrocchiali.
E se la verità abitasse altrove? Se quel Vangelo cui tutti ci appelliamo fosse davvero un testo incredibilmente “diverso” rispetto alle nostre, contrapposte, certezze?
Se la bella tensione che, indubbiamente, sostiene questa così tranchant “lettera aperta” trovasse ascolto, magari non acritico e dialogico, in altri tipi di impostazioni ecclesiali e se ciò fosse … reciproco? Se, nella Chiesa, tutti ci parlassimo un po’ di più essensd pure capaci dello scandalo chiamato ascolto?