Ha ripreso fuoco, fuoco violento, la polemica sulla questione dell’Ici sugli immobili ecclesiastici.
Inevitabile che ciò accadesse in un momento in cui a tutti noi, in particolare alle fasce più deboli, viene fatta pagare una manovra economica davvero pesante e certo non destinata a fermarsi qui. Troppo ghiotta l’occasione perchè qualcuno, più o meno in buona fede e più o meno trasparente, non colga il pretesto per tentare di diminuire la credibilità della Chiesa come istituzione magari facendo non poche confusioni tecniche (ad esempio tra “Vaticano”, “Conferenza Episcopale Italiana”, “Diocesi”, “Istituti per il sostentamento del clero” eccetera eccetera). Troppo ghiotta l’occasione non solo per “sputtanare” la Chiesa-istituzione, ma anche per tentare di mettere in difficoltà le tante opere solidaristiche, in favore dei più deboli, portate avanti dalla Chiesa-comunità.
A colpirmi, soprattutto, la scarsa laicità pratica di chi – sbandierando la sua laicità teorica– si ostina a ignorare che certi “privilegi” (ammesso si possano chiamare così) non valgono certo solo per i beni ecclesiastici, ma si estendono, ad esempio, a quelli di partiti, sindacati, associazioni, movimenti. Incrementato dai pregiudizi e da abilissime campagne mediatiche che spesso fanno leva proprio sulla non conoscenza tecnica delle norme, esiste anche la tendenza a ignorare che gli immobili – ad esempio quelli commerciali – per i quali l’Ici deve essere pagata, l’Ici la pagano (e se non la pagano ciò è un reato perseguibile).
Giorni fa mi capitò di ascoltare una diretta radiofonica nazionale sul tema. Era stata chiamata, come esperta, una professionista che collabora con la diocesi di Milano: molto preparata, spiegava con estrema chiarezza, “smontando” una per una le obiezioni di un conduttore molto prevenuto nonostante si dichiarasse molto “laico” (e dunque, in teoria, libero da pre-giudizi). Non sapendo più come fare davanti alle puntuali informazioni tecniche in arrivo dalla commercialista che smontavano la sua tesi (i privilegi riconosciuti alla Chiesa), il conduttore se la cavò chiudendo in fretta il collegamento e … complimentandosi per la voce “molto radiofonica” della signora.
Mi permetterei – essendo nessuno per dare consigli – un doppio consiglio.
Da un lato, per tutti, quello di informarsi meglio sulla questione “privilegi Ici agli immobili della Chiesa“: cercare di capire, a di là di propagande e pregiudizi, come stanno davvero le cose. Anche sul piano tecnico. Non mancano documentazioni (ad esempio su www.avvenire.it) decisamente utili se non altro come controcanto a quelle, assai pù conosciute anche in ambito ecclesiale, di segno opposto.
Ma, dall’altro lato, anche un consiglio più “interno”: cogliere l’occasione per ripensare (come Chiesa-istituzione e come Chiesa-comunità) l’intera questione del rapporto con i beni, con i soldi, con il “mattone”, con il potere. Al netto dei pregiudizi di cui sopra, se qualcuno – dentro la comunità ecclesiale – fa “il furbo”, si sia in prima fila nel pretendere regolarità e chiarezza. Non si abbia paura di dare tutte le informazioni e tutti i resoconti, a tutti i livelli, facendo prevalere la bellezza della trasparenza .
E nei giorni in cui si leggono, ad esempio, cronache sconfortanti su intrecci poco chiari da parte di strutture che hanno osato chiamarsi, per fare solo due nomi, “San Raffaele” o “Tabor” … forse non si tratta di un consiglio inutile verso una Chiesa che, come la vogliamo in tanti, non dimentichi mai la ragione vera della sua presenza.
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